Imprenditori imputati per reati ambientali

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Sembra che uno dei fatti più odiosi addebitati all’imperatore Caligola dagli storici della sua epoca fosse che costui inventasse leggi con forti sanzioni pecuniarie e poi le appendesse nel Foro, dove si divulgavano al popolo, ponendole però talmente in alto da non consentire di leggerle. I cittadini si vedevano, di conseguenza, multati o imprigionati in ragione di norme vigenti ma inconoscibili.

Allo stesso modo (probabilmente con meno malizia) il Legislatore italiano fa del suo meglio per rendere difficile la vita alle imprese, che spesso si trovano coinvolte in vicissitudini penali senza nemmeno avere idea del perché.

Caso emblematico, e di trincea in un distretto come quello di Prato, quello di una tintoria pratese, che si è vista- nella persona del suo legale rappresentante- porre sotto processo per la commissione del reato ambientale riferito alla supposta violazione dell’art. 29 comma quattordecies comma 1  d.lgs 152/06 perché avrebbe posto in essere lavorazioni per oltre dieci tonnellate di tessuti al giorno senza essere in possesso della prescritta Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA).

La contestazione non è di poco momento perché, non soltanto l’amministratore rischia una condanna fino ad un anno di arresto o 26.000 euro di multa, ma anche in ragione del fatto che accondiscendere alle richieste dell’ARPAT ( polizia giudiziaria in materia ambientale nonché coloro che hanno inoltrato la notizia di reato) comporterebbe la necessità di spendere 50.000 euro per ottenere l’AIA e tutti i costi periodici necessitati dagli adempimenti successivi che graverebbero sull’azienda. Un tale onere, di conseguenza, viene ad accollarsi soltanto là dove ve ne sia la reale necessità.

Ma tale non è il nostro caso dato che l’azienda sotto processo non lavorava oltre dieci tonnellate il giorno.  Dunque un errore? Sì, ma per tornare al tema di quest’articolo, derivante da Leggi ben poco chiare.

La norma, infatti, parla di lavorazione di dieci tonnellate giornaliere, ma non precisa le modalità di calcolo di tali volumi. L’ARPAT fa sua delle linee guide di matrice europea che indicherebbero un calcolo basato sulla capacità massima dei macchinari su sei cicli di lavorazione nelle 24 ore. In pratica, per fare capire a tutti la logica che sta alla base di questa scelta, è come se per stabilire la potenza della vostra automobile si prendesse il contachilometri e si ritenesse che la velocità massima indicata ( mettiamo 200/h) fosse quella effettivamente raggiungibile e mantenibile per l’intera giornata di un viaggio.

Questa impostazione apparve piuttosto grottesca fin dalla primigenia normativa che instituì l’AIA (A.D. 1999) ed il Ministero dell’Ambiente già nel 2004 corse ai ripari con una circolare nella quale per le tintorie il criterio doveva essere agganciato all’effettiva quantità lavorata e non all’empirico calcolo di cui sopra.

Ma, si sa, nell’Italia delle mille parrocchie e circoli, non tutti sono d’accordo.

La Lombardia, il Veneto, il Lazio adottano la circolare succitata, ma altre regioni, quali la Toscana, si rifiutano candidamente, decidendo che lo spirito della Legge abbia un’anima europea e, di conseguenza, assai lontana dalla levantina Roma.

Ci sarebbe, ad essere maliziosi, da chiedersi quale posto abbia nella gerarchia delle fonti normative, così come si ricava dall’impalcatura del nostro ordinamento, l’opinione delle varie Agenzie Regionali, ma parrebbe un discorso tedioso che rischierebbe di portarci lontano ad indagare di meccanismi che non sono oggetto del presente lavoro. Indubbiamente una collocazione ordinamentale si trova, però, alla circolare ministeriale e, si deve sottolineare, ha trovato la giusta accoglienza presso il Tribunale di Prato, chiamato più volte a giudicare di simili faccende.

Una per tutte, la sentenza 2598 del 28 giugno 2016, ha affermato la necessità di valorizzare la circolare suindicata dando credito al concetto di effettività delle lavorazioni, ed assolvendo l’imputato.

Tutto è bene quel che finisce bene si dirà. Aimè no. Perché nel mentre sono state emanate altre circolari ministeriali che parrebbero recuperare il concetto caro all’ARPAT di potenzialità produttiva ( la macchina che va a duecento all’ora ecc.) sconfessando per il futuro l’altro criterio.

In realtà, alcuni sagaci interpreti, hanno notato che le circolari in questione nell’Incipit dicono che i criteri indicati si aggiungono a quelli individuati nel 2004 senza peraltro menzionare mai nel corpo dell’atto le lavorazioni di tintorie. La conseguenza, quindi, è che riguarderebbero altro genere di lavorazioni. Ma ovviamente tutte le speculazioni sono possibili fino a che un intervento giudiziale o, meglio, legislativo, lo chiarisca definitivamente.

“Grande è il disordine sotto questo cielo, tutto va in modo splendido” ebbe a dire una volta Mao Tse Tung. Sì, ma non per le aziende. Per una consulenza o se vi trovate spersi in questo labirinto non esitate a contattarci.

Avv. Patrizio Fioravanti